Contratto sociale
Innanzitutto, prima ancora di iniziare a giocare, abbiamo alcune persone che hanno intenzione di condividere l’esperienza di gioco. Queste persone sono i giocatori e le giocatrici. Insieme costituiscono il gruppo e stabiliscono tra di loro tutti gli accordi (espliciti o impliciti) che servono per poter condividere l’esperienza di gioco. Ad esempio: quale gioco giocare, con quali regole, con quale tono o dove. Questo è il contratto sociale.
Cosa definisce?
Il contratto sociale definisce la realtà di gioco nella quale i giocatori e le giocatrici si muovono tramite i loro personaggi. Rappresenta a tutti gli effetti l’interfaccia con cui si esplora e influenza il mondo di gioco.
Ad esempio, a seconda delle regole che si sceglie di usare, in un gioco di combattimento come D&D la griglia di battaglia diventa effettivamente il terreno nel quale i personaggi stanno combattendo. In Ten Candles le candele che si spengono in una stanza sempre più buia diventano la luce che sta sparendo dal mondo e il senso opprimente della fine tragica che si avvicina. In Cuori di Mostro i fili diventano l’influenza emotiva che abbiamo sugli altri personaggi o che subiamo da loro.
Il contratto sociale, cioè gli accordi e le regole che tramite esso ci impegniamo a onorare, ci dicono cosa è lecito e socialmente approvato o no, sia nella gestione delle aspettative e degli obiettivi del gruppo sia nel mondo di gioco. Con questi strumenti, come giocatori e giocatrici possiamo entrare in quello che viene definito cerchio magico, cioè quel mondo di finzione proprio del gioco dove le regole della nostra realtà sono sospese e valgono quelle del gioco stesso.
Alibi
Una delle conseguenze più interessanti del contratto sociale è come permette a chi gioca di creare un alibi, cioè una scusa, un pretesto, che funge da confine tra se stessi e se stesse e il personaggio messo in scena.
L’alibi permette a chi gioca di legittimare le scelte dei propri personaggi in funzione delle premesse del gioco, delle sue regole e degli accordi presi nel contratto sociale. Chi gioca, in sostanza, può mettere in atto strategie e compiere scelte che legittimano l’interazione del proprio personaggio col mondo di gioco in una maniera che è considerata accettabile in quel contesto. Una maniera ben distinta da se stessi o se stesse e dal mondo reale. L’alibi è, in altre parole, il mezzo con cui giustifichiamo, nei confronti del gruppo e in relazione alla premessa del gioco, le azioni e le scelte compiute durante la partita dal personaggio, in forza del fatto che è qualcosa di diverso da noi e che si muove in un mondo e un contesto che non sono i nostri.
Un alibi molto forte, in genere, aiuta a prendere una distanza dal personaggio che può limitare l’esperienza del bleed. Se invece, al contrario, l’alibi è debole, cioè se nel personaggio riversiamo qualcosa di molto vicino alla nostra esperienza personale e a quello che siamo nel mondo reale, è probabile che si possa sperimentare più bleed.
Ad esempio?
Un gioco che parla di guerra dalla prospettiva degli eroi sul campo di battaglia che sono forti in relazione a quanti avversari o mostri possono sconfiggere (D&D) darà un’esperienza specifica. Sarà diversa rispetto a un gioco che si concentra invece, sulle ricadute psicologiche e sociali della guerra su chi la combatte. In questo caso, si esplora la guerra tramite il punto di vista delle vite e delle relazioni che vengono travolte e influenzate da essa (La Guardia).
Nel primo caso racconteremo qualcosa di generalmente lontano dalla nostra realtà quotidiana. Nel secondo, nonostante il contesto lontano, quello di cui parleremo è come le relazioni tra le persone cambiano in una situazione fortemente stressante. Il secondo gioco rischia molto facilmente di portare sul tavolo dinamiche che, oltre la metafora rappresentata dal gioco, possono essere vicine a un’esperienza personale.
Non è sempre così
Questo è un discorso generale e non scritto su pietra: nei fatti può capitare che in un personaggio con un alibi molto forte, per svariate ragioni ci troviamo a inserire situazioni con le quali abbiamo un’esperienza personale marcata o a farlo scontrare con situazioni, persone o eventi che rievocano esperienze e vissuti personali importanti.
Il punto è che spesso mettiamo qualcosa di nostro nel personaggio che giochiamo, a prescindere da quanto forte sia l’alibi con cui inizialmente abbiamo preso una distanza. Questa dinamica si innesca inconsapevolmente e con più facilità quando siamo a nostro agio, percepiamo come sicuro l’ambiente in cui giochiamo o quando il gioco ci prende molto.