Inclusività e rappresentazione nel gioco di ruolo

Quella che segue è una mia rielaborazione di un intervento fatto durante una conferenza a Lucca Comics & Games edizione 2018, dal titolo Orgia Ludica: Nessun* Esclus*.


Cliccando qui si accederà all’evento Facebook. Cliccando, invece, qui si potrà accedere a una nota con la trascrizione di tutti gli interventi. Mi sono basato su questa per rielaborare le riflessioni che ho esposto in quell’occasione.


Cosa si intende per “gioco inclusivo”?

Quello di “inclusività” nei giochi di ruolo non è un argomento semplice, perché si può affrontare sotto molti diversi livelli di lettura.

Perché un gioco sia inclusivo non deve semplicemente inserire la rappresentazione di qualche realtà marginalizzata e renderla un elemento giocabile. Perché sia efficace dovrebbe dire qualcosa di questo tipo di realtà. Non basta, quindi, inserire personaggi gay per affermare che il gioco sia rappresentativo della realtà gay o inclusivo verso le persone gay.

Con questo non intendo dire di essere contro la rappresentazione delle minoranze nei media che non spingano su temi rilevanti, sono anzi fortemente a favore. Preciso solo che non si dovrebbe scambiare la mera presenza con una rappresentazione tematicamente efficace di quella realtà marginalizzata.

Ritengo, dunque, importante dire che sia estremamente positivo il fatto che ci siano, ad esempio, personaggi queer in giochi dai brand molto famosi; tuttavia non per questo si può dire che questi giochi affrontino tematiche legate alle identità queer. Non in maniera strutturata, almeno, se non facendo leva sulla volontà dei giocatori di portarcele dentro. Dare atto che esistono realtà marginalizzate è comunque un passo importante. Contribuisce a non fare sentire escluse persone che tipicamente non vedono se stesse rappresentate in modo positivo sui media o nei giochi.

A cosa si deve prestare attenzione, quindi?

Tutto l’ambiente sociale collegato al gioco deve essere orientato ad accettare la persona che c’è al tavolo, con atteggiamento aperto, accogliente, non giudicante e rispettoso.
Non parliamo, quindi, solo del gioco, che può includere e rappresentare determinate situazioni e personaggi; e della partita giocata, con le sue dinamiche emergenti; ma anche e soprattutto dell’ambiente nel quale si gioca.

Parliamo, innanzitutto delle persone che fanno parte dell’ambiente di gioco e della cultura ludica attorno alla quale si riconoscono, consapevolmente o meno.

In seconda battuta possiamo parlare del gioco. Dovrebbe, a sua volta, dare modo a una persona appartenente a una identità marginalizzata di esprimere i temi per lei rilevanti in partita, se lo desidera.

Nel mio caso specifico, ho cercato di farlo in maniera strutturata. Durante lo sviluppo di Stonewall 1969: Una storia di guerra mi sono orientato sul pensare a un gioco di ruolo dove tutti i protagonisti sono riferiti a qualche punto dello spettro LGBT+. Ho cercato di portarli in gioco con dinamiche e situazioni che rispettassero quelle che sono le loro caratteristiche e le loro peculiarità. Soprattutto ho cercato di rispettare la loro voce nel contesto della storia che il gioco spinge a far emergere attorno al tavolo da parte dei giocatori.

Creare un gioco è un gesto politico

Servono delle procedure e delle meccaniche nel gioco che permettano di esplorare i temi portati al tavolo da persone con identità marginalizzate in maniera significativa. Per citare l’autrice di Cuori di Mostro, Avery Alder, fare game design o il gesto di creare una meccanica è un atto politico. Non si intende qui “politico” nel senso di essere appartenenti a un partito specifico che legifera nelle sedi istituzionali opportune. Si intende “politico” nel senso di espressione di qualcosa che riguarda la nostra partecipazione attiva alla società. Qualunque cosa noi facciamo è politica, in questo senso. Il gioco non è un’eccezione. È politico come scegliamo di vestirci; come ci presentiamo al mondo, come cerchiamo di parlare e quali parole scegliamo di usare, o come decidiamo di confrontarci con gli altri. È politico come scegliamo di rappresentare le situazioni e le storie nel mondo di gioco tramite le meccaniche che creiamo per farle emergere.

Nel gioco di ruolo da tavolo questo è molto importante, perché è una conversazione. Se non segue determinate regole o non si fonda su una base di rispetto e di confronto reciproco, finirà col deragliare. Diventerà improduttiva, se non addirittura dannosa.

Le regole di un gioco modellano, infatti, il flusso della conversazione. Regole e approcci diversi portano i giocatori ad affrontare temi e situazioni emergenti in gioco in modi diversi. Spesso cambiando gli assunti di fondo o il senso dell’esperienza di gioco.

Tecniche  e regole che favoriscono l’inclusività al tavolo: a cosa servono

Perché un ambiente di gioco sia inclusivo deve proteggere le persone che partecipano, creando uno spazio sicuro. Solo offrendo un ambiente sicuro e protetto le persone si sentiranno libere di esprimersi.

Ci sono varie tecniche il cui scopo è gestire il flusso e l’intensità della conversazione. Possono o meno far parte in maniera esplicita delle regole del gioco. Servono a far sì che tutti i giocatori possano portare il loro contributo in gioco; gestendo l’intensità con cui le emozioni eventualmente si manifestano o l’impatto che i contenuti hanno su di loro.

Si tratta di approcci e tecniche che non hanno una storia lunga all’interno dei giochi di ruolo. La discussione ha iniziato a essere più diffusa a un pubblico più vasto negli ultimi quattro o cinque anni.

Tra le prime fonti della gestione di contenuti delicati all’interno del gioco di ruolo da tavolo, si può citare Ron Edwards con Linee e Veli; introdotti in Sex and Sorcery, un supplemento per Sorcerer.

C’è poi una ricca letteratura in tutta la corrente di gioco di ruolo dal vivo del Nordic Larp. Nei paesi scandinavi, infatti, c’è una grossa cultura del gioco di ruolo, che presta particolare attenzione al modo di gestire e tutelare i partecipanti; in particolar modo quelli che fanno parte di realtà marginalizzate, come le persone LGBT+.

Si può andare dalle “parole di sicurezza” ad altre tecniche; quello che è importante da definire è che queste tecniche non si sostituiscono alla conversazione. Permettono piuttosto di stimolarla e di sostenerla; danno a tutti modo di esprimersi in maniera aperta, anche quando i contenuti che arrivano sul tavolo possono essere pesanti, complicati o anche dolorosi. Il loro scopo è permettere di poterli elaborare in maniera funzionale, per riuscire a passarci attraverso e uscire con qualcosa di positivo per il partecipante. 

Divertimento e intelligenza emotiva

Ci sono giochi che non evocano esperienze “divertenti”. “Divertente”, per altro, è un termine fuorviante per descrivere un gioco o un’esperienza di gioco. Ci sono giochi che puntano a evocare esperienze significative, dal forte impatto emotivo. Per farlo innescano volutamente certe dinamiche che favoriscono la sovrapposizione delle emozioni tra giocatore e personaggio, facendo leva sull’intelligenza emotiva delle persone che giocano.

Si tratta di un diverso modo di parlare di inclusività. Il gioco consente di sperimentare in un ambiente protetto situazioni che potremmo non essere abituati a vedere come oppressive o in che modo lo siano. In Stonewall 1969: una storia di guerra, ad esempio, i giocatori affrontano l’esperienza di qualcuno che è stato sistematicamente oppresso; cancellato, isolato, ritenuto criminale, peccatore o malato. Qualcuno che non aveva libertà di esprimersi o di aggregarsi; qualcuno che non poteva nemmeno ballare con il proprio compagno o la propria compagna senza che questo fosse illegale.

Può sembrare strano se non si è mai provato. Anche se il gioco consiste solo nel parlare insieme per raccontare una storia, le parole che usiamo ci danno potere nel contesto della conversazione. Questo potere si sperimenta quando al tavolo si innescano delle reazioni emotive. È una maniera di parlare delle persone e delle situazioni che va oltre la mera conoscenza nozionistica; lascia, a chi ci è passato attraverso, un ricordo che non passerà in fretta. Si tratta, infatti, di una consapevolezza che non si raggiunge parlando soltanto di nomi, date o nozioni asettiche elencate su libro.

Quando si fa uso della propria intelligenza emotiva per camminare nelle scarpe di qualcun altro si sviluppa una nuova consapevolezza. Una consapevolezza che ha il sapore di un ricordo; di un’esperienza che, in qualche modo ha coinvolto anche noi. 

Per concludere

In conclusione, ci sono diversi livelli di inclusività e rappresentazione; tutti a loro modo importanti. Il gioco di ruolo libera il suo potenziale quando consente a tutti di raccontare la propria storia, nel rispetto della propria identità.

Le persone vengono sempre prima del gioco. Perché siano libere di esprimersi e si sentano benvenute al tavolo è necessario che siano messe in condizioni di non dover stare sulla difensiva; oppure di non dover sperimentare anche in gioco l’oppressione e la cancellazione cui sono già sottoposte nella vita.